La modalità di lavoro smart non è più un trend o un parametro di analisi nell’ambito di un’indagine del clima aziendale, bensì una realtà concreta e oggettiva.
Si sta riflettendo molto su quali siano e potrebbero essere gli impatti sulla visione del lavoro e sul rapporto qualità della vita e lavoro.
Noi abbiamo pensato che lo smart working può rappresentare anche una modalità operativa molto efficace per superare alcune problematiche legate alla diversità, diventando quindi uno strumento per realizzare politiche aziendali di inclusione.
Pensiamo in particolare alle persone con disabilità fisiche: professionisti con competenze concrete che a volte le aziende non riescono ad accogliere al proprio interno in quanto non adeguatamente “attrezzate”. Non ci riferiamo in generale al tema dell’inclusione, ma parliamo di barriere architettoniche, di difficoltà oggettive legate ad alcune patologie che rendono complicato raggiungere la sede di lavoro con evidenti ripercussioni anche sulla performance e più in generale sul benessere del lavoratore.
Lo smart working può far superare questi ostacoli: la persona potrebbe svolgere la propria attività da casa o da altro luogo a lei più congeniale, in tranquillità e in totale privacy e senza dover affrontare i disagi legati magari alla localizzazione non felice dell’Azienda.
Allo stesso modo, l’Azienda non dovrebbe più porsi il problema di adattare spazi e tempi potendo quindi concentrarsi sulla realizzazione di politiche di inclusione finalizzate alla valorizzazione della diversità. Potrebbe assumere persone anche domiciliate molto lontano dalla propria sede (un’altra Provincia o addirittura un’altra Regione) creando opportunità di impiego reali e potendo accedere a competenze non sempre reperibili “sotto casa”.
Lo smart working permetterebbe quindi di amplificare il valore della diversità in Azienda riducendo o annullando barriere architettoniche e ostacoli.